Era il 19 febbraio del 1937 quando un attentato al viceré Rodolfo Graziani ad Addis Abeba causò la morte di sette persone e il ferimento di circa cinquanta presenti, tra cui lo stesso Graziani, che non perse l’occasione per farsi fotografare sofferente.
L’attentato non era stato gratuito ma era maturato in un clima di tensione che Giuliani con il benestare di Mussolini aveva creato nei mesi precedenti considerando i prigionieri etiopici non come prigionieri di guerra ma come ribelli da passare per le armi. Inoltre c’era una caccia spietata ai giovani cadetti della scuola militare di Olettà e dei giovani intellettuali etiopici che si erano laureati all’estero, per i quali, Mussolini aveva sentenziato:
«Siano fucilati sommariamente tutti i cosiddetti giovani, etiopici, barbari crudeli e pretenziosi, autori morali dei saccheggi».
In questo clima maturò l’attentato che diede il via ad una crudele rappresaglia da parte delle forze armate e della popolazione italiana presente in quel momento nella capitale durata tre giorni. Rappresaglia che non ha nulla da invidiare alle più feroci vendette naziste.
I civili italiani presenti ad Addis Abeba uscirono nelle strade mossi da autentico squadrismo fascista armati di manganelli e sbarre di metallo, picchiando e uccidendo i civili etiopici che si trovavano in strada. Nel tardo pomeriggio, dopo aver ricevuto disposizione alla Casa del Fascio, squadre composte da camicie nere, autisti, ascari libici e civili, si riversarono nei quartieri più poveri, e diedero inizio a quella che Antonio Dordoni definì «una forsennata “caccia al moro”». Sempre Dordoni, in qualità di testimone oculare riferì che: «In genere davano fuoco ai tucul con la benzina e finivano a colpi di bombe a mano quelli che tentavano di sfuggire ai roghi».
In un clima di assoluta impunità, commercianti, autisti, funzionari e gente comune si macchiarono di crimini violenti; venne data alle fiamme la cattedrale di San Giorgio e mentre i civili organizzavano la rappresaglia contro gli innocenti abitanti etiopici, i militari italiani operavano i primi arresti indiscriminati di massa, ammassando 3/4.000 etiopici in improvvisati campi di concentramento. Gli abitanti di Addis Abeba che malauguratamente portavano addosso anche solo un coltello, venivano uccisi sul posto. Il ricorso alle squadre di volontari civili fu inizialmente giustificato dalla necessità di evitare una rivolta degli abitanti di Addis Abeba, esercitando un controllo rigoroso sui quartieri indigeni con perquisizioni a tappeto, scioglimento di ogni assembramento, fucilazione sul posto dei sospetti e incendio delle case in cui fossero state trovate armi. In realtà fu scatenato un vero e proprio massacro indiscriminato con saccheggi e rapine, incendi di interi quartieri e migliaia di morti: cioè una repressione che andava ben oltre l’intimidazione della popolazione.
La ritorsione fu particolarmente feroce negli agglomerati di tucul lungo i torrenti Ghenfilè e Ghilifalign, che attraversano Addis Abeba da nord a sud, e che durante la notte furono presi d’assalto e incendiati, mentre le truppe agli ordini del generale Perego, comandante della piazza di Addis Abeba, fucilavano gli abissini che tentavano di fuggire e imponevano alla popolazione un coprifuoco che lasciava piena libertà d’azione alle squadre terroristiche. La mattina seguente, attraverso i quartieri lungo i due torrenti, erano rimasti in piedi ben poche abitazioni, e «fra le macerie c’erano cumuli di cadaveri bruciacchiati». Nel frattempo, su disposizione di Graziani, decine di autocarri Fiat 634 vennero utilizzati per portare in fosse comuni nascoste i cadaveri di centinaia di abissini uccisi durante le prime ore che seguirono l’attentato. La rappresaglia però non si esaurì la prima notte, continuò anche nelle due giornate successive, durante le quali: «per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni ad Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano».
Mussolini non perse l’occasione per rinnovare il suo intento di colpire violentemente: «Nessuno dei fermi già effettuati e di quelli che si faranno deve essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi e senza indugi».
Il 21 febbraio allo stesso Mussolini giunse anche la notizia che le truppe di ras Destà erano state liquidate a Goggetti, e appena appresa la notizia il dittatore dispose un ordine decisamente categorico e spietato:
«La popolazione maschile di Goggetti di età superiore ai 18 anni deve essere passata per le armi e il paese distrutto».
Malgrado ciò, sempre il 21, Graziani intimò al federale Cortese di porre fine alle rappresaglie, minacciando di affidare ai carabinieri il ripristino dell’ordine. Cortese dovette accettare e nella tarda mattinata fece stampare e diffondere un manifesto con scritto: «Camerati! Ordino che dalle ore 12 di oggi 21 febbraio XV cessi qualsiasi atto di rappresaglia. Alle ore 21:30 i fascisti debbono ritirarsi nelle proprie abitazioni. Severissimi provvedimenti saranno presi contro i trasgressori. […]». Il comunicato, seppur provvidenziale per la popolazione etiopica, fu anche un maldestro e involontario atto di autodenuncia del federale Cortese, che con tale manifesto palesava la responsabilità sua e della popolazione italiana di Addis Abeba nel massacro.
L’ordine di Graziani a Cortese, secondo lo storico Giorgio Rochat, non fu dettato dalla preoccupazione del viceré di evitare che la rappresaglia raggiungesse livelli controproducenti, bensì di dimostrare a Roma come egli avesse totalmente in mano la situazione e di impedire a Cortese di acquistare troppa visibilità.
IL MASSACRO
Nonostante il più facile accesso agli archivi militari e coloniali, e al cosiddetto “Fondo Graziani”, non vi è concordanza sull’esatto numero di vittime causate nella repressione di Addis Abeba. Gli etiopici, fin dal settembre 1945, quando presentarono un Memorandum al Consiglio dei ministri degli Esteri riunito a Londra, parlano di circa 30.000 morti, mentre i giornali francesi e americani fornirono cifre oscillanti fra i 1.400 e i 6.000 morti. Le cifre fornite dallo stesso Graziani nei suoi rapporti con Mussolini, indicano in circa un migliaio le persone passate per le armi e altrettanti tucul bruciati nei giorni del massacro. Negli anni altri autori hanno ritenuto la cifra fornita dagli etiopici molto sovrastimata e che probabilmente vuole racchiudere anche le uccisioni fino a maggio 1937; uno dei maggiori storici del colonialismo italiano, Angelo Del Boca, stima circa in 3.000 le vittime dei primi tre giorni di violenze ad Addis AbebA, cifra ripresa anche dall’inglese Anthony Mockler, e dallo storico Giorgio Rochat, che però ipotizza che la cifra potrebbe essere più alta, tra 3 e 6.000, come lascerebbero intendere le carte del “Fondo Graziani”, le quali non permettono però un calcolo documentato.
Nel recente “Il massacro di Addis Abeba” Ian Campbell applica tre diverse metodologie di stima che portano, congiuntamente, all’ipotesi di circa 19.000 vittime, includendo in tale numero anche le uccisioni dell’élite etiope avvenute nelle settimane seguenti.
Diversi storici diedero vita ai più particolareggiati studi sui massacri che avvennero ad Addis Abeba tra il 19 e il 21 febbraio 1937, senza risparmiare giudizi negativi e impietosi sulla politica assolutistica e repressiva avuta dagli italiani nei confronti della popolazione etiope di Addis Abeba. Negli anni sono state raccolte decine di testimonianze oculari e sono stati utilizzati documenti d’archivio sia italiani che etiopici, che hanno potuto confermare come in quelle giornate di febbraio si scatenò quella che Angelo Del Boca definì: «la più furiosa caccia al nero che il continente africano avesse mai visto» e che Rochat paragonò ad un «vero e proprio pogrom […] che portò alla luce l’odio razziale dei colonizzatori e la diffusa consapevolezza che solo il brutale terrore poteva rinsaldare il precario dominio italiano».
La persistente lettura in chiave apologetica delle imprese coloniali italiane da parte della politica, ha favorito nel tempo una vera e propria rimozione delle colpe, e ha permesso l’assoluzione dei maggiori criminali di guerra italiani, compresi coloro che hanno esercitato la loro brutale vendetta contro la popolazione di Addis Abeba. Solo nel 1998, con una nuova politica inaugurata dal ministro degli esteri Lamberto Dini e dal viaggio in Africa orientale del presidente Oscar Luigi Scalfaro, durante il quale vi fu una esplicita ammissione delle colpe coloniali, venne costituita una prima e necessaria svolta nei rapporti con i paesi africani. Nell’ottobre 2006 ci fu inoltre una proposta di legge per l’istituzione, nel giorno 19 febbraio, del “Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l’occupazione coloniale italiana”, che però si arenò a causa della caduta del governo Prodi.
Nel dopoguerra, a ricordo dei fatti accaduti in quel 19 febbraio, che nel calendario etiopico corrisponde al giorno Yekatit 12, una piazza del quartiere di Sidist Kilo, nel centro di Addis Abeba, venne rinominata Yekatit 12 adebabay (amarico የካቲት ፲፪ አደባባይ) e vi venne eretto un imponente obelisco dedicato alle vittime della strage.
ELO
Bibliografia:
- Richard Pankhurst, The Graziani Massacre and Consequences, in History of the Ethiopian Patriots (1936-1940), n. 4 (archiviato dall’url originale il 13 ottobre 2011).
- Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza, 2014.
- Matteo Dominioni, Lo sfascio dell’impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941, Roma-Bari, Editori Laterza, 2008.
- Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943, Milano, Einaudi, 2008.
- Giorgio Rochat, Le guerre italiane in Libia e in Etiopia dal 1896 al 1939, Udine, Gaspari Editore, 2009.
- Angelo Del Boca, Il colonialismo italiano tra miti, rimozioni, negazioni e inadempienze, in Italia contemporanea, n. 212, 1998, pp. 589-603.
- Anthony Mockler, Haile Selassie’s War. The Italian-Ethiopian Campaign, 1935-1941, in Signal Book, Oxford, 2003.
- Richard Pankhurst, Nuove rivelazioni sull’attentato alla vita di Graziani del 19 febbraio 1937, in Studi Piacentini, n. 36, 2004, pp. 141-144.
- Richard Pankhurst, The Graziani Massacre and Consequences, in History of the Ethiopian Patriots (1936-1940), n. 4 (archiviato dall’url originale il 13 ottobre 2011).
- Andrea Pioselli, Zeret, Gennaro Sora e la memoria degli italiani, in Istituto bergamasco per la storia della resistenza e dell’età contemporanea, giugno 2012, pp. 71-95
- Il massacro di Addis Abeba. Una vergogna italiana di Ian Campbell, Rizzoli, 2018