Michael Young, nel 1954 coniò il termine “meritocrazia”, definendo l’equazione del merito: I+E=M, dove “I” è l’intelligenza (cognitiva ed emotiva, non solo l’IQ) ed “E” significa “effort”, ovvero gli sforzi dei migliori. “M” meritocrazia.
La “I” porta ad azzerare i privilegi della nascita, ed è l’essenza delle “pari opportunità”.
La “E” invece è sinonimo di libero mercato e concorrenza che sono il metodo più efficace per creare incentivi per i migliori.
Quindi un sistema meritocratico valorizza l’eccellenza indipendentemente dalla provenienza, dove “provenienza” indica un’etnia, un partito politico, l’essere uomo o donna, alto o basso, grasso o magro, simpatico o antipatico, burbero o gentile etc etc.
U.K., e States sono esempi di società meritocratiche così come le democrazie nord europee, e l’Italia!?!?!?
Secondo alcuni studiosi, la società italiana ha una “cultura non meritocratica” a causa del “catto-comunismo“, secondo Roger Abravanel, autore del libro “Meritocrazia”, invece la società italiana ha semplicemente una “cultura non meritocratica” causata dalla forza abnorme della famiglia italiana, che genera quel “familismo amorale” italiano studiato dai sociologi di tutto il mondo e giustificato dalla debolezza dello Stato che non è riuscito a creare fiducia nei cittadini.
Gli italiani non hanno fiducia nella giustizia, nella scuola, nella sanità pubblica, e si rifugiano nella “famiglia” in senso allargato. Così si spiega lo strapotere di associazioni come Confindustria e Confcommercio, che sono dei veri benchmark mondiali.
Io, nel mio piccolo, mi sono fatto un’altra idea.
Secondo me, in Italia, c’è una certa confusione nei termini.
Spesso la classe manageriale confonde la meritocrazia con il clientelismo, favoritismo, nepotismo, servilismo, lacchè per cui viene sistematicamente premiato il vassallaggio, l’ossequio, l’assoggettamento con buona pace dei valori della società meritocratica.
ELO