Subisco un indiscutibile fascino per il solstizio d’inverno, per me è il giorno più bello dell’anno o per lo meno quello più atteso.
A partire da fine ottobre, ed esattamente dall’ultimo sabato del mese in occasione del passaggio dall’ora legale all’ora solare, parte il countdown che si conclude appunto il 21 dicembre.
Perché?
Il solstizio d’inverno è il giorno più corto dell’anno per tutti i luoghi dell’emisfero boreale e il più lungo per quelli dell’emisfero australe. Il 21 dicembre a Milano si registreranno solo 8 ore e 46 minuti di luce, segna il passaggio dall’autunno all’inverno e coincide con il giorno in cui il sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, il punto di declinazione minima.
Per cui, il 21 dicembre rappresenta la morte della natura, il momento più buio dell’anno ma nel contempo la rinascita, il seme piantato oggi che germoglia in primavera, la vittoria della luce (il sole) sulle tenebre.
A questa latitudine, a partire dal giorno successivo (22 dicembre) i dì si allungano di quasi tre minuti al giorno, ed osservando il periodo di luce durante le vacanze natalizie ti accorgi che dal 21 dicembre al 6 gennaio guadagni quasi mezz’ora di luce e per le settimane a venire continua fino a raggiungere il picco il 21 giugno (solstizio d’estate).
Personalmente resto estasiato ed è un momento che mi da forza e vitalità immaginando e guardando giorno dopo giorno, il risveglio della natura ed in me anche dei sensi.
In realtà questo giorno rappresentava occasione di festività di vario genere compreso un significato Alchemico: il Sol Invictus per i pagani; Saturnalia (dal 17 al 23) e Angeronalia nell’antica Roma; il Natale per il cristianesimo; Yule nel neopaganesimo.
In Gran Bretagna, a Stonehenge, sopravvivono imponenti ruderi: due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate. L’asse del monumento è orientato astronomicamente, con un viale di accesso al cui centro si erge un macigno detto “pietra del calcagno”.
Stonehenge, insomma, sarebbe non solo un tempio, ma anche un calendario.
A Nabta Playa vi è un circolo calendariale, dove due monoliti hanno allineamento Nord-Est in direzione del sorgere del sole e risulta essere più antico di Stonehenge di almeno mille anni.
Per gli Inca, la divinità Inti è il sole, sovrano della terra, figlio di Viracocha, il creatore, e padre della sua personificazione umana, l’imperatore.
Attorno a Cusco, capitale dell’impero, sorgono i Mojones, torri usate come “mire” per stabilire i giorni degli equinozi e dei solstizi.
A Macchu Picchu, luogo sacro degli Inca, si può ancora vedere il Torreon, una pietra semicircolare incisa per osservazioni astronomiche, e l’Intihuatana, un orologio solare ricavato nella roccia.
Per i Maya il sole è il supremo regolatore delle attività umane, sulla base di un calendario nel quale confluiscono credenze religiose e osservazioni astronomiche per quell’epoca notevolmente precise.
Tra gli indiani d’America il sole è simbolo della potenza e della provvidenza divine.
Presso gli Aztechi è assimilato a un giovane guerriero che muore ogni sera e ogni mattina risorge, sconfiggendo la luna e le stelle: per nutrirlo il popolo azteco gli offriva in sacrificio vittime umane.
Gli stessi Inuit (eschimesi) ritenevano fino a poco tempo fa che il sole, durante la notte, rotolasse sotto l’orizzonte verso nord e di qui diffondesse la pallida luce delle aurore boreali: convinzione ingenua, ma non del tutto errata, visto che è stato studiato come le aurore polari siano proprio causate da sciami di particelle nucleari proiettate nello spazio ad altissima energia dalle regioni di attività solare.
Tutto il culto degli antichi Egizi è dominato dal sole, chiamato Horus o Kheper al mattino quando si leva, Ra quando è nel fulgore del mezzogiorno e Atum quando tramonta. Eliopoli, la città del Sole, era il luogo sacro all’astro del giorno, il tempio di Abu Simbel, fatto costruire da Ramses II nel XIII secolo a.C., era dedicato al culto del Sole.
Secondo la cosmologia egizia il Nilo era il tratto meridionale di un grande fiume che circondava la Terra e che, verso nord, scorreva nella valle di Dait, che raffigurava la notte; su esso viaggiava un’imbarcazione che trasportava il Sole (raffigurato come un disco di fuoco e impersonato nella figura del dio Ra) che nasceva ogni mattino, aveva il culmine a mezzogiorno e al tramonto viaggiava su un’altra imbarcazione che lo riportava a est. Si devono agli Egizi alcune delle prime precise osservazioni astronomiche solari, in base alle quali i sacerdoti del faraone prevedevano le piene del Nilo e programmavano i lavori agricoli. Le piramidi sono disposte secondo orientamenti astronomici, stellari e solari. Gli obelischi erano essenzialmente degli gnomoni, che con la loro ombra scandivano le ore e le stagioni. Gli orologi solari erano ben noti e ne esistevano diversi tipi, alcuni dei quali portatili, a forma di T o di L, chiamati merket: il faraone Thutmosis III, vissuto dal 1501 al 1448 a.C., viaggiava sempre con la sua piccola meridiana, come noi con il nostro orologio da polso.
La prima comparsa di Sirio, la stella più luminosa del cielo, all’alba, in estate, era per gli Egizi il punto di riferimento fondamentale del calendario. Il loro anno era di 365 giorni esatti, ma sapevano già che in realtà la sua durata è maggiore di circa sei ore, per cui avevano calcolato che nel corso di 1460 anni la data delle inondazioni del Nilo faceva una completa rotazione del calendario.
Quest’anno già molto particolare per la Pandemia, lo è anche in questa giornata in quanto la notte più lunga dell’anno arriverà in compagnia di un raro e imperdibile spettacolo del cielo: una grande congiunzione tra Giove e Saturno, che non si vedeva dai tempi di Galileo.
Infatti, domani potremo assistere a uno spettacolo celestiale che l’umanità non vedeva da quasi 800 anni.
Domani sera, Giove e Saturno si troveranno a meno di un decimo di grado di distanza.
L’ultima volta che gli esseri umani sono stati in grado di vedere una Grande congiunzione così vicina è stato nel 1226, ben prima che i telescopi fossero inventati. Attenzione, nonostante la loro apparente vicinanza (visti dalla Terra), Giove e Saturno sono in realtà distanti oltre 640 milioni di chilometri l’uno dall’altro.